Articolo di Andrea Cortesi e Chiara Spatafora
Il corridoio minerario
Il cosiddetto corridoio minerario in Perù è una grande fonte di ricchezza per i giganti estrattivi che sono presenti da ormai 30 anni nell’area. Le lunga dorsale andina del Paese concentra la stragrande maggioranza delle ricchezze minerarie, così come le principali fonti di acqua e la sopravvivenza delle pratiche culturali quechua e aymara. La zona viene a configurarsi sempre più per l’elevata conflittualità che coinvolge specialmente la convivenza fra comunità indigene e le imprese. Da oltre un trentennio le operazioni di esplorazione ed estrazione vengono effettuate con un basso, se non addirittura assente, riguardo per le condizioni ambientali che incidono profondamente sullo sviluppo economico, sociale e umano delle comunità indigene. Secondo il Report Ombra dello Shadow Network of Glencore Observers (2017), ad esempio, non esiste nessuna informativa dell’impresa che faccia riferimento a dialoghi o tavoli di confronto sulle conseguenze ambientali della propria attività, né tantomeno richiami alle necessità delle comunità.
Il patrimonio culturale, i diritti umani e le condizioni di vita delle popolazioni indigene che vivono nei pressi delle attività estrattive non sono stati mai presi in considerazione realmente. Dal 2012, anno in cui la Glencore ha espanso la propria attività estrattiva, si sono susseguite una serie di proteste da parte delle comunità brutalmente represse dagli agenti di polizia in accordo con l’impresa.
Il risultato è che da una parte le operazioni minerarie proseguono, con grossi profitti per le imprese, mentre le comunità continuano a vivere in situazioni precarie, mancando di servizi di base e con poche opportunità di compartecipare allo sviluppo economico delle attività industriali. Le comunità sono, infine, messe ancora più in pericolo dai continui attacchi ai propri leader e difensori dei diritti umani, i primi a subire le violenze da parte delle forze armate.
Le ultime elezioni presidenziali che hanno portato alla vittoria al ballottaggio di Pedro Castillo vs Keiko Fujimori sono state caratterizzate da un forte protagonismo dell’estrattivismo nel dibattito elettorale e nei conseguenti programmi di governo dei due leaders. Se e quanto cambieranno le cose a seguito della vittoria di Castillo sarà sicuramente una delle prossime sfide del governo peruviano, ad oggi possiamo risaltare i dati dei consensi elettorali lungo la dorsale andina, vale a dire lungo el corredor minero del Paese, a testimoniare una forte adesione della popolazione ad un programma di governo che porti forti limitazioni alle attività minerarie in corso.
Le regioni di Cusco e Apurímac
Hudbay, MMG Las Bambas y Antapaccay sono tre le imprese multinazionali che hanno le maggiori concessioni minerarie. Queste conducono i minerali estratti per un corridoio che arriva fino al porto di Matarani ad Arequipa.
Nel corridioio altoandino sono aumentati sostanzialmente gli investimenti per il settore minerario: solo Las Bambas conta 5.000 milioni di dollari di investimenti, e prevede altri 5.000 milioni nei prossimi anni. Il progetto minerario de Las Bambas è il più grande del Perù, per quanto riguarda l’estrazione del rame, iniziato con capitale svizzero, nel 2014 è passato di mano a capitali cinesi, nel 2015 il Comité Central de Lucha de las provincias de Grau y Cotabambas hanno convocato uno sciopero indefinito per denunciare le modifiche allo Studio sull’impatto ambientale. Alla fine, 300 persone tra cui uomini e donne, sono stati indagati dal Pubblico Ministero, rischiando la libertà fino a 20 anni. Queste continue tensioni hanno portato il governo a dichiarare lo Stato di emergenza dal 2018 a oggi includendo nell’emergenza tutta l’area fino al porto di Matarani.
Tutte le compagnie sopracitate hanno generato profondi conflitti socio-ambientali, portando lo Stato alla necessità di convocare tavoli di dialogo per superare le continue paralizzazioni dovute ai conflitti e portare avanti il proprio progetto estrattivista, modello di accumulazione che predomina nel paese e, come abbiamo visto, nell’area andina.
Violazioni dei diritti delle donne
La presenza dell’attività mineraria ha provocato enormi effetti sociali, economici e culturali, come la rottura delle strutture familiari, la violenza continua e i danni alla salute, in particolare sulla condizione delle donne. Le donne hanno iniziato a partecipare in maniera preponderante alle assemblee comunitarie, mosse dalla necessità di comprendere cosa succede dentro e fuori dal loro contesto. Uno studio realizzato nella provincia di Espinar ha segnalato, fra gli altri aspetti, anche la tristezza e la solitudine generata dalla vendita di terreni, uno stato di profonda indignazione per il mancato rispetto degli accordi, angoscia per la scarsità di assistenza familiare e sfiducia generalizzata, come costanti nella vita delle donne che rimangono nei territori d’origine.
Secondo la Fiscalía de Trata di Cusco, nella provincia di Espinar la tratta di persone è un problema che colpisce bambine e adolescenti delle zone rurali alto-andine, fenomeno questo direttamente collegato con la presenza dei siti estrattivi e dalla grande concentrazione di manodopera proveniente da altre zone del Paese. Le imprese, in molti casi, condizionano l’accesso e l’uso delle risorse naturali comunitarie, contribuendo a rompere gli equilibri sociali tradizionali, corrompendo dirigenti e generando dinamiche socioeconomiche insostenibili e aggravando le condizioni di vita delle donne (per esempio portando a maggiori episodi di prostituzione).
Si assiste a una crescente criminalizzazione delle comunità e in particolare dei loro leader, così come un uso eccessivo della forza durante le proteste sociali da parte della polizia. Questa situazione si aggrava ancora di più nelle zone rurali dove è maggioranza la popolazione indigena. Le imprese agiscono in combutta con lo Stato, dal momento che prioritario risulta per quest’ultimo la difesa dell’interesse nazionale, individuato nell’attività di estrazione mineraria. Tuttavia, compete allo Stato la tutela dei diritti umani, parallelamente alla difesa degli investimenti per l’industria estrattiva benché alla fine i difensori e le difenditrici dei diritti umani siano costantemente attaccati/e, stigmatizzati/e e intimiditi/e. Dal 2017, Cusco è il secondo luogo dove si concentrano maggiormente i casi di violazione dei diritti umani (19) e i casi socio-ambientali sono ancora i più numerosi (67.5%); per quanto riguarda i conflitti riferiti alla miniera, questi sono il 64,3 % dei conflitti socio-ambientali e 43,5% del totale dei conflitti sociali.
I danni ambientali
Nei suoi trent’anni di operatività, la miniera Tintaya-Antapaccay ha causato una serie di danni ambientali che hanno colpito le comunità locali e la loro livelihood. La contaminazione dell’acqua, dell’aria e del suolo è avvenuta in maniera esponenziale negli ultimi anni: la Glencore sostiene di rispettare tutte le misure di prevenzione e sicurezza e di agire in conformità con le leggi peruviane, rigettando così le accuse rivolte dalle comunità. Tuttavia, l’uso dell’acqua per le attività minerarie ha ridotto il consumo e l’accesso alle comunità, sia per il proprio autoconsumo che per le attività economiche come l’allevamento e l’agricoltura.
Secondo il report sul monitoraggio ambientale sanitario su acqua, suolo aria del Ministero dell’Ambiente del Perù, più del 50% dei punti annalizzati nella provincia di Espinar (Regione di Cusco) riportano un alto grado di contaminazione rispetto agli standard ambientali. Nell’ambiente sono presenti alti quantitativi di metalli pesanti e agenti chimici che danneggiano la salute e le attività economiche. Non esiste un monitoraggio di breve termine e studi che permettano di programmare un piano di contrasto. Questo non avverrà fintanto che l’impresa non riconosce di essere parte del problema e che il governo non prende serieamente le contaminazioni come minaccia al benessere e alla sopravvivenza stessa delle popolazioni. Sono le stesse comunità infatti a sollecitare urgentemente un sistema di monitoraggio periodico per determinare le cause dei danni subiti, come la morte frequente e anomala degli animali da allevamento.
Dare una voce ai difensori dei diritti umani ambientali e alle comunità: il progetto Derechos Humanos Ambientales YA!
Tra le provincie altoandine di Cotabambas, Grau (Apurímac), Chumbivilcas e Espinar (Cusco), verrà realizzato il progetto ! Derechos Humanos Ambientales YA! Defensoras y defensores de derechos humanos ambientales, comunidades campesinas indígenas, gobiernos locales juntos para una mejor gobernanza ambiental y un desarrollo territorial diversificado y sostenible en el corredor minero del sur andino finanziato dall’Unione Europea con l’obiettivo di promuovere e tutelare i diritti umani delle comunità che vivono nei pressi delle attività estrattive in 4 province delle Regioni di Cusco e Apurímac. Il progetto mira a rafforzare l’advocacy delle comunità nei confronti delle autorità locali e la gestione delle risorse naturali autonoma in modo da incentivare uno sviluppo sostenibile e il rafforzamento della società civile. La rete Iscos che da anni lavora in Perù in difesa delle comunità indigene e degli allevatori locali, contribuirà alla realizzazione di questo progetto in sostegno al capofila Centro de Estudios Regionales Andinos “Bartolomé de Las Casas” (CBC di Cusco) e in collaborazione con l’ong italiana We World-GVC e l’Union Iberoamericana de Municipalistasv(UIM).
L’azione mira a coinvolgere i rappresentanti delle comunità, i difensori dei diritti delle comunità, cercando di creare una rete di attori locali, rafforzandone il senso di responsabilità nei confronti delle comunità. La rete internazionale che abbraccia questo progetto, in cui sono coinvolti difensori dei diritti umani e alcuni sindacati, servirà a migliorare l’influenza e le azioni dei sindacati minerari delle zone interessate, pianificando così strategie efficaci per affrontare in maniera strutturata situazioni di conflitto. I sindacati possono avere una funzione importante tanto nella difesa dei diritti dei lavoratori tanto nella tutela dei diritti ambientali, dato che solo uno sviluppo sostenibile e integrato, il rispetto delle comunità indigene e dei lavoratori, può accrescere i livelli di benessere a livello locale.
Queste comunità hanno accettato la presenza della miniera, entrando tuttavia in una logica compensatoria. Per questo motivo, adesso, si rende necessario rafforzare il dialogo con le municipalità che, attraverso il loro supporto, permettano alle comunità di negoziare migliori termini con le imprese, in particolare per quello che riguarda i loro diritti. Effettivamente, seguendo l’approccio basato sui diritti umani, la difesa dei diritti non è di esclusiva competenza dei titolari di questi, ma esistono anche titolari di responsabilità, ossia le autorità pubbliche, che hanno il compito di creare le condizioni affinché i diritti non vengano lesi.
Pertanto, l’azione del progetto mira a rendere visibile il ruolo dei difensori dei diritti umani e mettere in evidenza come una crescita economica basata sull’estrattivismo sia fallace, facendo perdere opportunità per uno sviluppo territoriale diversificato e sostenibile. Il lavoro dei difensori si è focalizzato sulle attività della grande industria mineraria, quella che si concentra nel corredor minero, convertendo il Perù nel secondo produttore di rame al mondo. Inoltre, il settore minerario ha beneficiato di sgravi fiscali, dalle tasse ai redditi, in un Paese dove già la pressione tributaria è bassa se comparata con altri paesi (14%). Tuttavia, i processi di evasione ed elusione sono frequenti e solo da poco è stata deliberata una normativa antielusione. Oltre ai benefici tributari, si evidenzia un altro elemento di conflitto, ovvero il rispetto del processo di consulta previa che le imprese dovrebbero svolgere presso le comunità, principio sancito dalla Costituzione del Perù per qualsiasi attività estrattiva praticata nelle comunità indigene.
ISCOS ritiene fondamentale il supporto ai lavoratori e alle lavoratrici peruviane, nonché alle comunità indigene che si trovano di fronte questa situazione di dilagante violenza e oppressione. Sosteniamo pertanto la realizzazione di questo progetto che mira a rafforzare il ruolo della gestione pubblica, accrescendo la consapevolezza delle comunità e dei lavoratori circa i propri diritti e degli strumenti di lotta e negoziazione che permettano la gestione dei conflitti in maniera meno violenta rispetto a come fin ora avvenuto nelle zone di estrazione mineraria. Manifestazioni represse nel sangue non devono più essere la norma, le comunità devono essere libere di esprimere il proprio dissenso, e soprattutto dev’essere garantita una gestione delle risorse trasparente e inclusiva da parte delle imprese.